Oggi è rettore all’Università telematica Giustino Fortunato di Benevento, dopo aver insegnato Filosofia del diritto e Teoria generale del diritto alla Federico II di Napoli. Ha sulle spalle anche una breve ma intensa esperienza politica (fu candidato a sindaco nel 1993 contro Vincenzo De Luca).
Pino Acocella: come legge l’attuale momento politico?
“Non credo esista il mantra di una rinuncia della politica o di una sua sconfitta, è una stupidaggine. Il governo di unità nazionale è una forma della politica, prevista nella scienza costituzionale. C’è stato in Germania e, nel dopoguerra, in tanti paesi europei. La politica non ha rinunciato a qualcosa: semplicemente, per poter affrontare le circostanze, anziché limitarsi alla sola classe dei professionisti, ha coinvolto persone competenti per affrontare situazioni contingenti: nella fattispecie il Recovery plan”.
Un Governo in cui però i partiti assumono una posizione molto più defilata.
“I partiti non sono stati distrutti da questa circostanza. Sono vent’anni che hanno imboccato una strada senza ritorno. I grandi partiti come Dc e Pci, con tutti i loro difetti, avevano una visione, grandi progetti: mettevano insieme gente diversissima. Oggi ci si scandalizza degli interessi divergenti: è normale, proprio perché è venuta a mancare la funzione di coagulo intorno ad un progetto, svolta dai partiti”.
Questa esperienza quali spazi apre per la politica, se ne apre?
“Il problema è se sarà o meno un buon governo e quanto sarà capace di fottersene di interessi parziali e particolari per guardare al bene comune. Con una questione fondamentale che dovrà affrontare: il Mezzogiorno. Quando si realizzarono le grandi autostrade al sud, c’era una classe politica capace di avere un proprio progetto. Oggi i politici rispondono alle necessità delle zone più forti e più rappresentative. Un pasticcio scaturito dalla riforma del Titolo V della Costituzione, che ha confuso competenze dello Stato e competenze delle Regioni, parlando di competenze concorrenti. Un pasticcio firmato da D’Alema per inseguire la Lega che ha spianato la strada a quel regionalismo differenziato che, se approvato come vogliono le regioni guidate dai leghisti, sarà la morte del sud: non lo penso solo io ma anche grandi costituzionalisti come Massimo Villone”.
Per le forze centriste e moderate, quali spazi si aprono?
“Hanno avuto una grande funzione nel dopoguerra, quando nacquero i grandi assetti costituzionali in Europa. La Cdu in Germania, il Mouvement Républicain Populaire, il gollismo, la DC in Italia sono stati capaci di mediare in una situazione di grande contrapposizione tra i paesi dell’Est e quelli dell’Ovest. Quel ruolo oggi non ha più interpreti, solo potenziali elettori che alla fine però si voltano verso il centrodestra o il centrosinistra. Colpa anche di sistemi elettorali che non aiutano. L’unico valido era il Mattarellum, ma l’hanno deformato e modificato, ancor più ora con una riforma del Parlamento che ridisegnerà i collegi elettorali. Un grande pasticcio”.
E sul piano locale? Quali ripercussioni?
“Questo governo se non vuole morire subito dovrà guardare all’unità nazionale, con una linea di tendenza a prescindere da quello che vogliono le Regioni. Se, com’è accaduto fino ad oggi, non ci sarà un equilibrio tra Stato e Regioni, lo pagheranno tutti i cittadini. De Luca ha raggranellato un consenso rilevantissimo. Non so se senza Covid sarebbe stato lo stesso, ma ha guadagnato il diritto di governare la Campania e non credo che questi piccoli incidenti giudiziari possano incidere più di tanto. Il problema che vedo è un altro”.
Quale?
“La Campania, come le altre regioni del Sud, senza un indirizzo nazionale teso a ridurre la forbice nord-sud con investimenti nel Mezzogiorno, non avrà una prospettiva”.
A maggio si vota a Salerno: quali le differenze rispetto alla sua battaglia elettorale del 1993?
“Allora c’erano ancora le grandi famiglie politiche, anche se in crisi. Il Pc stava cambiando pelle, la Dc era sul procinto di diventare Partito popolare. Era un momento di grande trasformazione e sia io che De Luca decidemmo di scavalcare i partiti presentandoci De Luca con la lista dei Progressisti, io con Salerno progresso. Ma tutti sapevano che De Luca era comunista e io cattolico: le famiglie politiche erano ispirazione, non gabbie. Finite loro, è finita quella stagione politica. Le prossime battaglie saranno tra liste di sommatoria, che sommeranno quanti più alleati possibili. Non certo liste di prospettiva o di ispirazione culturale”.
(Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud del 21 febbraio 2021)