Cuore e ragione vivono molto spesso rapporti conflittuali, soprattutto per i tifosi, che a volte – presi dalla passione e dall’amore per i propri colori – non riescono a discernere e comprendere decisioni e scelte imprenditoriali all’apparenza dolorose e incomprensibili.
Una società sportiva è a tutti gli effetti un’impresa: dietro ogni scelta strategica deve (o dovrebbe) esserci il cuore, ma ancor di più la ragione, giacché ci sono logiche di programmazione, visioni prospettiche, analisi dei costi e dei ricavi, conti e bilanci da far quadrare, che non ammettono incontrollate pulsioni sentimentali.
Se si analizzasse quanto sta avvenendo in casa granata in questi giorni difficili mettendo per un attimo a tacere il cuore, probabilmente si riuscirebbe a comprendere anche altro, intravedendo scenari neppure troppo lontani, difficili quanto inevitabili.
Per la U.S. Salernitana 1919 si approssimano anni molto difficili e le difficoltà – calate dall’alto, improcrastinabili e ineluttabili – costringono fin d’ora ad agire di conseguenza, ad adeguarsi per far quadrare i conti ed evitare, mai come ora facilissime, tensioni nei bilanci.
Il restyling dello Stadio Arechi imporrà per chissà quante stagioni, lunghi sacrifici ed enormi difficoltà logistiche: dureranno ben più di quanto è stato molto ottimisticamente paventato durante la presentazione del progetto. Basta analizzare quanto accaduto fin qui a quel crono programma annunciato in conferenza stampa, al momento della presentazione del progetto: per il solo avvio delle procedure sono già stati accumulati enormi ritardi, ancor prima di aprire il cantiere.
La scelta, avventata e incomprensibile, della Regione di avocare a sé un investimento che la U.S. Salernitana (peraltro pressoché unica utilizzatrice della struttura) era pronta a realizzare privatamente, assommata ad un’altra scelta – pure questa altrettanto avventata e incomprensibile – di non procedere per settori ma di “adeguare” provvisoriamente il Volpe (con un ulteriore sperpero di risorse), impone drastici ed inevitabili ridimensionamenti di visioni e progetti. Costringerà a giocare in uno “stadio” oggi inidoneo anche per la terza serie, con una capienza indefinita ma certamente incomparabile con quella dell’Arechi e forse finanche con quella del Vestuti.
Nessuna società sensata ed oculata investirebbe nel breve-medio periodo, con le difficoltà logistiche che si profilano all’orizzonte: certe, improcrastinabili, di incerta durata.
La U.S. Salernitana ha compiuto in questi anni sicuramente numerosi, gravi e – purtroppo reiterati – errori. Imputabili sicuramente ad un imprenditore inesperto, ma anche volubile, rancoroso e scarsamente motivato. Ad un amministratore altrettanto inesperto che forse meglio farebbe ad occuparsi della sola amministrazione finanziaria del club. Ad uno staff di folcloristici, improponibili, iperpresenzialisti ed altrettanto inesperti consulenti, che hanno fin qui prodotto non pochi danni. A figure quasi mitologiche, con altisonanti, pomposi (e ben retribuiti) incarichi, ma dalla dubbia funzionalità e utilità.
Ma i problemi logistici ed economici che si profilano all’orizzonte per la U.S. Salernitana, a partire dall’inevitabile drastico calo degli incassi al botteghino, non possono essere ritenuti secondari, irrilevanti, non condizionanti.
Nessuna società sensata investirebbe oggi davvero – di qui anche l’estrema diffidenza di chi scrive nel “programma triennale” di cui pure si continua a parlare – ben conoscendo il quadro del prossimo, anzi imminente, futuro. Significherebbe realizzare investimenti nell’assoluta certezza di un (dubbio) rientro nel lungo o lunghissimo periodo.
Sulla Salernitana queste scelte hanno imposto una “cappa” che non può non condizionarne l’operatività, e che costringerà inevitabilmente nel limbo del calcio minore e di provincia. Non può che essere la terza serie, lo scenario ponderabile per un campo come il Volpe. Fa male dirlo, ma sarà così almeno per le prossime cinque stagioni.
La società avrà pure (ed ha indubbiamente) le sue colpe, ma la situazione vera è questa: sarebbe stato avventato e sconsiderato immaginare strategie diverse in quadro di così assoluta incertezza (rectius: di aumento certo dei costi e di un altrettanto certo calo degli incassi).
Anni difficilissimi attendono la Salernitana: se si comprende questo ogni scelta assume una diversa connotazione. Petrachi era (ed è) un DS da serie A, le sue colpe nella situazione di oggi sono assolutamente marginali. Ha investito certo su “incognite”, calciatori a fine carriera o fisicamente fragili: ma nel contesto in cui è stato costretto ad operare, era impossibile fare altrimenti. Non dimentichiamo i tanti calciatori “bloccati” e sfumati per precise imposizioni societarie (vendere per comprare e budget zero).
Simy, Sepe, Maggiore, e tutti quanti oggi percepiscono – non certo per colpa di Petrachi – ingaggi faraonici e fuori mercato (ivi compresi però i personaggi inutili e folcloristici di cui sopra), non sono in linea con il loro rendimento (in campo e fuori) ma anche con gli scenari che si profilano all’orizzonte. Forse finanche Petrachi rappresentava un lusso, per tali scenari. Passi per l’allenatore Roberto Breda (qualcosa al cuore bisognava pur riconoscere), ma tutto il resto deve rispondere a logiche più realistiche.
Per quanto provvisorio, questa città ha creato per la sua squadra un contesto in cui nessun imprenditore sensato oggi investirebbe nel medio (e forse anche nel lungo) periodo: tant’è, e tocca farsene una ragione.
Iervolino, i suoi brillanti quanto insignificanti manager, i folcloristici quanto inutili consulenti del suo entourage, hanno senza dubbio enormi ed evidentissime responsabilità, ma oggi le mani sono legate non certo per colpa del patron di Palma Campania. Non gli si può certo imporre di essere avventato, sperperando soldi nell’assoluta incertezza temporale di un rientro dell’investimento.
Ha preso – non dimentichiamolo – una squadra in serie A immaginando di rilevare la gestione dello Stadio con sponsor internazionali a sostenere il progetto: è in questo contesto che ha paventato e sognato addirittura scenari europei. Ha anche investito, non dimentichiamolo, salvando la serie A con una rimonta che resta epocale, storica. Ma oggi si ritrova (anche per le sue evidentissime e macroscopiche colpe, sia ben chiaro! Ma non solo…) con una squadra sull’orlo della C, costretta a giocare in uno stadio parrocchiale o poco più.
Nessun uomo, nessun imprenditore oculato investirebbe in un simile contesto. Sarebbe una scelta di cuore, ma non certo una scelta ragionevole. Un “vuoto a perdere” in cui solo il cuore può sognare e immaginare.
Valentini ed il suo vice dal curriculum di soli dati anagrafici, sono le persone giuste, per ora. Fa male dirlo, ma è così. Tocca stringere la cinghia e contenere i costi. Poi “chissà come e chissà quando”, si vedrà.

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