Potesse candidarlo in una delle sue liste – nell’ipotesi improbabile che dovesse averla vinta sul terzo mandato – probabilmente un pensiero, Vincenzo De Luca lo farebbe. Non certo per marcare una qualunque forma di condivisione con il capo della polizia giudiziaria libica Osama Najeem El-Masri (detto Almasri), accusato dall’Aja di crimini di guerra e contro l’umanità: ma per un motivo molto più “terra-terra”. La sua vicenda ed il clamore che ha suscitato, capita in un momento che strategicamente più propizio non potrebbe essere per il Governatore uscente della Campania, dimostrando ancora una volta l’estrema inconsistenza della strategia politica del PD nazionale, incapace di costruire un progetto alternativo che prescinda da “avvisi di garanzia” ad orologeria o, in ogni caso, da un uso strumentale della magistratura.
Il PD e la magistratura
Da anni il PD esce elettoralmente con le ossa rotte da questo modo di usare la magistratura: ma pare non abbia fatto esperienza alcuna dei pur clamorosi precedenti, che sono costati (e costeranno) non poco in termini elettorali: da Craxi a Berlusconi, da Salvini alla Meloni.
L’avviso di garanzia alla Meloni e ad altri rappresentanti del suo Governo, infatti, è una vera e propria bomba ad orologeria che potrebbe avere effetti devastanti. Ma non è affatto detto che a rischiare sia solo il presidente del Consiglio e i suoi ministri (“sequestro di persona” imputato al ministro Salvini docet): lo sarà probabilmente soprattutto chi, stupidamente, non trova modo migliore per affrontare questioni che dovrebbero essere innanzitutto (se non prettamente) politiche.
Almasri e l’ordine di arresto
Ma l’assurdità di questa vicenda, dal punto di vista politico prima ancora che giudiziario, merita di essere ricostruita in dettaglio. Il generale Almasri, atterra a Roma lo scorso 6 gennaio. Come giustamente dice la Meloni nel suo video per i social, vaga per l’Europa (Inghilterra, Belgio e Germania), e nessuno si prende la briga di fermarlo. Solo quando, dalla Germania, si informa sulla possibilità di riconsegnare a Fiumicino un’auto noleggiata oltralpe, scatta l’alert da cui consegue un mandato di arresto internazionale della Corte dell’Aja. Il mandato viene diffuso tramite i canali diplomatici e una segnalazione all’Interpol.
Almasri arriva in Italia, si ferma a Torino, e la sera all’Allianz Stadium si gode il match Juventus-Milan. Non che sia – o che possa ritenersi – un turista in vacanza. Sa bene, il generale libico, di essere sotto inchiesta in mezzo mondo, tant’è che viaggia con un nutrito pacchetto di documenti d’identità falsi: una patente turca, una carta d’identità turca e un’altra della Repubblica di Dominica, riporta l’Avvenire. E ben otto carte di credito, la chiave di una stanza di un albergo milanese, quella di un resort di lusso a Istanbul, biglietti da visita in cui si qualifica “general manager” di multinazionali turche.
La sera stessa di sabato 18 gennaio, il generale viene fermato per un controllo a Torino, ma non viene fermato. Il fermo scatta all’alba di domenica 19: la Digos lo arresta e lo trasferisce nel carcere delle Vallette.
Il teatrino della malapolitica e giustizia salvatrice
E qui iniziano i paradossi nostrani, che oggi un avvocato casualmente con tessera PD in tasca (e con infelici trascorsi in AN) vorrebbe imputare alla Presidente del Consiglio e al ministro della Giustizia.
La Corte d’Appello di Roma riceve la richiesta di convalida dell’arresto – secondo l’avvocato che ha presentato l’esposto e la politica “spalleggiatrice” del PD – e la trasmette al ministero della Giustizia, come prevede la legge. Nordio non agisce: a suo dire, perché la comunicazione non è mai arrivata. Fatto sta che martedì 21, la Procura generale chiede alla Corte di dichiarare “la irritualità̀ dell’arresto in quanto non preceduto dalle interlocuzioni con il Ministro della Giustizia, titolare dei rapporti con la Corte Penale”. Tradotto terra-terra: chiede la scarcerazione di Almasri, che arriva puntuale nel pomeriggio di martedì 21.
Nel pomeriggio della stessa giornata di martedì, Nordio fa sapere che sta esaminando la documentazione ricevuta dalla Corte dell’Aja. Nel frattempo però il ministro Piantedosi ha firmato un decreto di espulsione, e già nella mattinata di martedì un jet dei servizi segreti vola da Roma a Torino per prendere in consegna il generale: gli notifica il decreto di espulsione e gli intima di non tornare più in Italia per quindici anni.
Almasri viene quindi immediatamente imbarcato e atterra a Tripoli alle 21.45 dello stesso giorno, martedì 21 gennaio, tra gli applausi festanti di colleghi e miliziani vicini al Governo.
Tra colpe e ragioni, perdono tutti. In primis la politica
In una nota stampa del 23 gennaio, l’Aja scriverà che “il 21 gennaio 2025, senza preavviso o consultazione con la Corte, Osama Almasry Njeem sarebbe stato rilasciato e riportato in Libia. La Corte sta cercando, e non ha ancora ottenuto, una verifica da parte delle autorità sui passi che sarebbero stati compiuti”.
Qui il paradosso nostrano: il governo contesta il rilascio deciso autonomamente dalla Corte d’Appello, rimarcando il fatto di aver adottato un immediato decreto di espulsione con conseguente rimpatrio per una “questione di sicurezza”, onde evitare che Almasry fosse rimesso in libertà e se ne potessero perdere quindi le tracce.
Le opposizione accusano di inefficienza e ritardi il ministero della Giustizia, ed addebitano al Governo la mancata consegna di Almasri alla Corte dell’Aja.
Secondo l’avvocato Li Gotti, già sottosegretario alla Giustizia nel governo Prodi dal 2006 al 2008 – “il reato di favoreggiamento personale viene commesso da chiunque aiuta taluno a eludere le investigazioni dell’autorità, comprese quelle svolte da organi della Corte penale internazionale, o a sottrarsi alle ricerche effettuate dai medesimi soggetti”. Per Li Gotti l’inerzia di Nordio, che ha di fatto impedito la convalida dell’arresto, e la fretta di Piantedosi di rimpatriarlo a bordo di un jet dei servizi, non senza il coinvolgimento di Palazzo Chigi, avrebbero permesso ad Almasri di sottrarsi al mandato internazionale della Corte dell’Aja, che lo accusa di crimini di guerra e contro l’umanità dal 2015 all’ottobre 2023 nel carcere di Mitiga (Tripoli), da lui diretto.
Barbara Serrazzani, su Repubblica di oggi, chiede: “La presidente spieghi perché ha liberato un criminale”. Una pretesa che si commenta da sola: la Serracchiani sa bene (anche questo è un uso strumentale della giustizia che non fa onore alla vera e buona politica), che oggi quella spiegazione non può più averla. Avrebbe potuto ottenerla fino a ieri, on ora che c’è un’inchiesta della magistratura.
La invoca, invece, sapendo che non potrà ottenerla, per poi lamentarsi e denunciare il silenzio del Governo. La buona e bella politica di sinistra.
La vicenda Almasri testimonia ancora una volta l’importanza di un sistema giudiziario (internazionale ma non solo) che possa garantire giustizia alle vittime. Il caso più che a strumentali e immancabili esposti deve portare a riflessioni serie e importanti sul sistema-giustizia e sul modo di amministrare la giustizia, a partire dalle corti italiane.
L’avvocato ed ex senatore Luigi Li Gotti, in qualità di “cittadino indignato”, ha denunciato per favoreggiamento personale e peculato Giorgia Meloni, i ministri dell’Interno e della Giustizia, Matteo Piantedosi e Carlo Nordio, e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega ai servizi segreti, Alfredo Mantovano. Per girare l’esposto al Collegio dei reati ministeriali, il Procuratore di Roma Francesco Lo Voi ha dovutamente iscritto i quattro nel registro degli indagati.
Ma l’atto dovuto è stato considerato ostile, parte di una strategia “per ostacolare la riforma della giustizia”, sostiene la maggioranza di governo accusando toghe e opposizione. I due ministri oggi avrebbero dovuto conferire in Parlamento (e forse era lì la sede giusta per discuterne) ma non lo faranno e hanno tutte le ragioni per non farlo. C’è una inchiesta della magistratura, ancora una volta certa magistratura si sostituisce a certa politica.
Nazionale ed internazionale, giacché se da un lato la Corte dell’Aja ha chiesto ragioni del rimpatrio di un ricercato per crimini come tortura, stupro e omicidio, il Governo italiano dal canto suo ha chiesto alla Corte come mai, il mandato di arresto nei confronto di Almasri, che era in Europa da 12 giorni, è stato spiccato solo quando ha messo piede in Italia.
Insomma, se la politica (da una parte e dall’altra) in questa storia non ne esce bene, la magistratura – nazionale e internazionale – non è che ne esca meglio.
Fuor dall’ironia sulla candidatura di Almasri nelle liste di De Luca (non dubitiamo minimamente che anzi il Governatore biasimi il curriculum del generale libico), è evidente che – proprio come tuona il presidente uscente della Campania – si fatica a costruire un progetto politico vero, a scendere tra la gente per ascoltarne sensazioni, sentimenti e aspettative. A rinunciare ad una politica “salottiera”, autoreferenziale, prona a quei poteri forti che rendono dura la vita alla stragrande maggioranza dei cittadini.
Il giustizialismo non ha mai pagato e non paga. Non pagherà neppure adesso.
Finanche sull’arresto di un conclamato criminale internazionale, insomma, il PD è stato capace di fare una pessima politica (per ora) e raccogliere una pessima figura (prossimamente).
Con buona pace e soddisfazione del presidente De Luca, che in questo triste teatrino si erge come un gigante. E non potrebbe essere altrimenti.