A pochi giorni dalla chiusura del mercato e di una campagna di rafforzamento in cui la Salernitana ha giocato e ancora giocherà le ultime fiches per evitare il baratro della serie C, è tempo di qualche riflessione e primi bilanci.
Partiamo dal famoso (meglio sarebbe dire fumoso) progetto triennale per il ritorno in A, che a questo punto – ad un passo dalla serie C – andrebbe drammaticamente ridimensionato negli obiettivi o nella durata. Non che, ad onor del vero, di questo progetto triennale siano mai esistiti segni tangibili e prove concrete. Chiacchiere e fumo, null’altro.
Un club che si pone degli obiettivi da qui a tre anni, dovrebbe, immediatamente, quanto meno seminare, iniziare a costruire. Dovrebbe adottare una strategia chiara e strutturata per garantire – se non il ritorno in massima serie – quanto meno una fisionomia stabile, duratura, che connoti la società e il suo modus operandi. Qualcosa insomma, che non dia l’idea del “tirare a campare” o, peggio, che avvalori ipotesi di dismissione e smobilitazione.
Dati alla mano, l’idea che la Salernitana abbia messo mano ad un progetto (qualunque ne siano durata e obiettivi) non traspare affatto. Anzi, i numeri, i dati, le cifre, il modo in cui si sta lavorando, dicono tutt’altro.
Una rosa senza petali
Ad oggi la rosa ha un valore di 32,25 milioni di euro (dato Transfermarket), in pesante flessione rispetto allo scorso anno (94,6) a sua volta ancora in pesante flessione rispetto al 2022/2023 (118,35 milioni). Erano, gli ultimi due anni, campionati di serie A: ci potrebbe quindi anche starci – e ci sta sicuramente – un ridimensionamento dei programmi e dei relativi budget.
Quel che fatica a starci, invece, è la mancanza di una “ossatura” sulla quale gettare le fondamenta e costruire per il futuro. Un “nocciolo duro” di squadra, insomma, intorno al quale costruire di anno in anno – nel triennio stando ai proclami – innestando, migliorando, rinforzando.
Nel primo anno di un serio e vero progetto triennale, qualcosa doveva pur vedersi. Qualcosa doveva essere fatto.
Non è stato fatto sicuramente per il tecnico, come testimoniano i continui avvicendamenti sulla panchina granata. Lo stesso Roberto Breda, amatissimo dalla piazza, ha un contratto in scadenza, riprova evidente che le idee non sono affatto chiare e “di diman non v’è certezza”.
Se si scorre l’attuale rosa, inoltre, nuovi innesti inclusi, la “programmazione” che ne vien fuori è ancor più preoccupante. Soriano, Ferrari, Reine-Adelaide, Hrustic, Torregrossa, Jaroszynski e Njoh sono arrivati a titolo gratuito: tutti in scadenza di contratto al 30 giugno di quest’anno, fatta eccezione per Njoh, il cui contratto scade a giugno 2026
Tra i vecchi e i nuovi arrivi, parecchi prestiti: Wlodarczyk, Stojanovic, Verde, Kallon, Amatucci, Velthuis, Braaf, Tello, Ruggeri, Cerri, Raimondo, Guasone, Gentile, Caligara, Girelli, Christensen.
I cartellini di proprietà, ad oggi, sono soltanto quelli di Fiorillo (sotto contratto fino al 2026), Simy (in odore di rescissione ma comunque in scadenza a giugno) e Maggiore (dato in partenza).
Difficile, impossibile quindi immaginare che su queste basi si possa iniziare a costruire un’intelaiatura, un’ossatura minima su cui lavorare nei prossimi due anni: più facile purtroppo temere l’ennesima ripartenza da zero.
A fine stagione, insomma, sul tavolo della programmazione ci sarà “il resto di niente”: tante buone speranze in qualche diritto di riscatto, sempre che lo si voglia e lo si possa esercitare, e nulla più. Neppure il direttore sportivo, che pure è in scadenza di contratto. Reset totale, ritorno al via, come in un triste gioco dell’oca.
Il primo anno del triennio, insomma, è stato bruciato, è andato a vuoto, e speriamo che non si concluda con una retrocessione che aggiungerebbe la beffa al danno.
Uno scenario assurdo che dimostra l’assenza di una qualsivoglia visione e che ormai caratterizza l’intera gestione Iervolino, ad oggi.
Questa politica gestionale, stagione per stagione, smentisce clamorosamente l’esistenza di una programmazione o di una strategia che non sia quella del “tirare a campare” e tamponare col minor costo possibile.
Lo spogliatoio sottovalutato
Nel calcio il primo degli acquisti, quello più importante (oserei dire fondamentale e imprescindibile) è lo spogliatoio, che si crea proprio costruendo un gruppo. È di estrema importanza lavorare ad una ossatura di squadra sulla quale poi intervenire di volta in volta per aggiustamenti, ricambi, rinforzii. In serie A la Salernitana ha pagato innanzitutto questo scotto (ottimamente registrato dal DS Petrachi non appena arrivato in granata). Calciatori che sulla carta non erano affatto brocchi, hanno conquistato la più disonorevole delle retrocessioni. Non hanno “fatto squadra”, non si sono amalgamati, più di qualche mercenario ha contato i giorni dalla partenza come manco i militari al servizio di leva.
Allora ben farebbe allora la società a chiarirsi le idee e a definire seriamente i programmi: non limitandosi però agli annunci, ma facendone conseguire azioni conseguenziali.
È un discorso che credo sia imprescindibile e urgente anche dal punto di vista economico: le squadre (grandi, ma soprattutto medio-piccole) vivono di plusvalenze, immaginabili solo con giovani di proprietà, da scoprire e valorizzare, su cui costruire e investire.
Con il sistema dei prestiti, e un settore giovanile scarsamente valorizzato, nulla si semina e nulla si raccoglie: a meno che – ed almeno si abbia l’onestà di riconoscerlo – non si voglia fare della Salernitana una squadra destinata ad allevare belle promesse altrui o valorizzare investimenti d’altri che non trovano spazio nelle rispettive squadre.
Nulla di male, sarebbe una scelta strategica. Magari opinabile, non condivisibile: ma una scelta strategica. Senza dubbio più onesta e coerente di una programmazione triennale di cui si conosce la durata, ma non l’inizio. Che non è quest’anno, sono pronto a scommetterci.