Prima pietra per la costruzione del nuovo ospedale di Salerno. La Regione Campania investe 470 milioni di euro per una nuova struttura “all’avanguardia di grande qualità urbanistica ed inserito in un ampio parco verde”, commenta soddisfatto sui social il sindaco di Salerno, Vincenzo Napoli.
“Avremo a disposizione 732 posti letto, 50 terapie intensive, 1710 posti auto. La struttura sarà integrata con il sistema autostradale e ferroviario. Migliorerà le condizioni di lavoro del personale medico e paramedico, valorizzerà la didattica universitaria, metterà al centro il paziente e le sue esigenze”. La struttura avveniristica – se e quando sarà completata – andrà però ad inserirsi in un contesto settoriale estremamente preoccupante.
Diverse le ragioni, di carattere politico ma non solo.
Se è vero (e lo è senza ombra di dubbio) che l’attuale presidente della Giunta regionale ha ereditato una sanità commissariata tirandola fuori dal baratro dei conti in rosso, è altrettanto vero che il prezzo che i campani hanno pagato e stanno pagando va in molti casi ben oltre la normale tollerabilità. Si parla ormai, in molti casi e per molte circostanze, di negazione del servizio e del diritto alla salute.
Pur volendo tralasciate i Pronto Soccorso e i reparti chiusi per far quadrare i conti, restano ulteriori due dati che non possono passare in secondo piano, tanto più se si realizzano nuove strutture avveniristiche che poi, con questi dati, dovranno inevitabilmente fare i conti.
Il primo: le liste d’attesa in Campania vanno ormai ben oltre la sostenibilità. Chiunque abbia (o abbia avuto) la necessità di prenotare un esame diagnostico, si scontra con una tempistica (nel migliore dei casi sei/otto mesi) che rasenta l’indecenza. E’ un dato di fatto innegabile, evidentissimo. Senza dimenticare che ormai le analisi cliniche nei centri convenzionati sono a pagamento già dai primi giorni del mese: il che la dice lunga sul prezzo dei “conti a posto”. Sarebbe poca cosa se i laboratori ospedalieri fosse accessibili in tempi decenti. Tutti sanno che non è così.
Un ulteriore dato: negli ultimi anni, proprio nell’ospedale di San Leonardo, sono stati letteralmente “smantellati” reparti che rappresentavano una vera e propria eccellenza, regionale ma non solo. Lo si è fatto – e questo è notorio – solo ed esclusivamente per ragioni politiche, in barba a qualsiasi considerazione non solo di carattere sanitario e assistenziale, ma anche economico e aziendale. Una struttura “avveniristica” sulle ceneri di un ospedale sulla via della dequalificazione, non ha ragione d’essere.
E ancora: il VII Rapporto sul servizio sanitario nazionale della Fondazione Gimbe è fin troppo eloquente. La regione Campania è quella con il minor numero di medici e infermieri rispetto agli abitanti; in questo sicuramente la Regione ha colpe marginali, scontando ancora i postumi del commissariamento. Ma dovrebbe essere una ragione in più per trattenere le eccellenze. Non lo si è fatto e non lo si fa.
La migrazione sanitaria (vale a dire i campani che preferiscono curarsi in altre regioni come Toscana, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna) è costata in dieci circa 3 miliardi di euro; il saldo della mobilità sanitaria (vale a dire il dato al netto della mobilità attiva) registra un passivo (ultimo dato Agenas disponibile) di oltre 211 milioni. In miglioramento del 6%, certo: ma che pesa comunque non poco sulla sostenibilità dei conti.
Sei campani su cento, stando allo studio Gimbe, ormai rinunciano alle cure, non avendo possibilità alcuna di accedervi (per ragioni logistiche, inefficienze varie o anche difficoltà economiche).
Il rapporto “Un paese, due cure. I divari Nord-Sud nel diritto alla salute”, promosso dalla Svimez e realizzato in collaborazione con Save the Children, non delinea uno scenario migliore: la Campania (assieme alla Calabria) è la regione da cui si fugge di più quando si ha necessità di curarsi. Lo fanno in media 3 mila pazienti oncologici ogni anno.
A fronte di una media nazionale di 2.140 euro, la Campania è tra le regioni meridionali quella con la spesa corrente pro-capite più bassa: 1.818 euro assieme a Calabria (1.748 euro) Basilicata (1.941 euro) e Puglia (1.978 euro). Lo scenario non muta se si esamina la spesa in conto capitale: appena 18 euro, a fronte dei 24 euro del Lazio e 27 della Calabria, mentre il dato nazionale si attesta su una media di 41 euro.
Su base regionale, quattro regioni del Centro-Sud presentano i valori più elevati per “mortalità evitabile delle donne e uomini”, cioè persone che avrebbero potuto salvarsi se i servizi sanitari avessero funzionato.
Anche sui decessi di donne, stando sempre al medesimo studio, la Campania è al primo posto con il 14,7 per cento, seguita da Sicilia (13,4), Lazio (12,6) e Calabria (12,2). Valori più alti d’Italia anche per i decessi evitabili maschili con il 26,2 per cento in Campania.
Le condizioni dei Pronto Soccorso, completano questo quadro affatto confortante. L’emergenza è ormai quotidiana, e si opera quasi ovunque in condizioni strutturali e di organico estremamente problematiche: manca il personale, spesso costretto a turni massacranti; ma spesso mancano anche le cose basilari, come i lettini.
E allora ben venga l’avanguardia strutturale degli ospedali e la qualità urbanistica delle strutture: ma si inizi a pensare anche e soprattutto all’avanguardia negli ospedali e all’eccellenza nei reparti. Garantendo operatività, efficienza, qualificazione e, soprattutto, meritocrazia.
Perché se i conti tornano a scapito della qualità e dell’efficienza del servizio, rimane davvero poco per cui crogiolarsi.