L’approssimarsi di uno degli eventi più rilevanti della tradizione sarnese, di quelli che valicano senza ombra di dubbio i confini della città, perdendosi nella notte dei secoli, impone qualche riflessione sulla vita e sulle prospettive di Sarno. La città, pur qualificando geograficamente una vastissima e strategica area della provincia di Salerno e della Campania, negli ultimi anni ha perso vigore, vitalità, fervore, e purtroppo anche economia.
Di qui a qualche giorno si riproporrà l’emozionante e secolare rito dei Paputi, con le loro croci, i loro canti, i loro simbolici cappucci colorati che da oltre 800 anni rappresentano le varie confraternite. Un’emozione intensa, quella dell’alba del Venerdì Santo, in cui si incrociano fede, mistero, riti, penitenza, e che contribuisce da secoli (le origini risalgono al ‘200) a rendere la Pasqua sarnese più sentita, più suggestiva e più caratteristica.
Non sono pochi i sarnesi emigrati che rientrano appositamente per rivivere questa emozione, raccogliendosi in preghiera e “rinascendo”, “risorgendo” con Cristo, come vuole la Pasqua e la tradizione dei Paputi.
Ma questo evento – solo perché è il più prossimo: ve ne sarebbero anche altri – impone anche ulteriori riflessioni ed analisi.
Sarno qualifica geograficamente uno dei territori più rilevanti e strategici della provincia e della regione: l’Agro sarnese-nocerino, quell’area che i Romani qualificarono come Campania Felix. Eppure, da anni ormai, Sarno ha perso la sua centralità: il baricentro della vitalità e dello sviluppo si è sempre più spostato verso Nocera Inferiore, o addirittura verso comuni anche più distanti.
È un angolo di Campania Felix sempre più chiuso in sé stesso, in una eterna attesa di ritrovarsi e risorgere, come uno dei suoi borghi più belli, San Matteo, da cui all’alba di Venerdì Santo scenderanno i Paputi dal saio rosso come il sangue di Cristo.
Eppure, le potenzialità – riprova ne è proprio l’antico rito dei Paputi – ne esistono e non sono poche. Eventi, tradizioni, usanze, “marchi di fabbrica” che organizzati, strutturati e valorizzati, possono attrarre platee che vanno bel al di là dei residenti o degli emigranti, che possono smuovere l’economia di un paese che sembra vivacchiare sulla routine e sull’ordinaria amministrazione. Eventi che consentano di portare Sarno al centro delle cronache nazionali e internazionali come negli ultimi anni è accaduto, purtroppo, solo per fatti drammatici e di cronaca.
Ma occorre una visione, occorre coraggio, occorre innovazione per un “innalzamento di scala” che punti a riportare Sarno al centro non solo del territorio che qualifica, ma in ambiti ben più vasti.
Per smuovere davvero l’economia non basta puntare solo sui residenti o sul “turismo da rientro”. È una economia sporadica, occasionale che non lascia traccia, non segna davvero lo sviluppo e la città, si spegne con gli eventi stessi: un po’ come avviene con le Notti bianche, i concerti, il Carnevale.
Occorrono eventi strutturati e organizzati tutto l’anno – con una enorme valenza strategica e di forte significato – che attraggano ben oltre gli emigranti e che portino Sarno al centro della ribalta più volte all’anno, attraendo turisti e visitatori.
A due passi da Sarno ci sono Pompei ed Ercolano, Sarno è nota come la città dell’acqua (ma anche purtroppo per l’omonimo inquinatissimo fiume), ed è al centro di due aeroporti, agevolmente raggiungibili via autostrada. Pecca e non poco nei collegamenti ferroviari, ma questa è altra storia e ci si può lavorare.
Le potenzialità ci sono tutte, insomma, e sono tante. Manca solo – appunto – la visione e il coraggio.
Basta guardarsi intorno per comprenderlo: sono tante le realtà, anche molto più piccole di Sarno, che intorno ad eventi ed iniziative (spesso geniali, ma disarcionate dalla storia e dalla tradizione locale: si pensi al Giffoni Film Festival) hanno costruito un’economia che dura tutto l’anno. E su cui il paese vive. Può farlo anche Sarno. Ha tutte le carte in regola perché ciò accada.
Manca solo una politica innovativa che riesca a guardare oltre, superando l’ottica del localismo e dell’ordinario.

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